La Cassazione, con la sentenza n. 1332 depositata ieri, si è soffermata sulle specifiche forme richieste dalla norma per la dimostrazione del “transito endofamiliare” del reddito.
A tal proposito, ricordiamo che il previgente art. 38 del DPR 600/1973 consentiva all’Ufficio di determinare sinteticamente il reddito sulla base degli incrementi patrimoniali e, però, il sesto comma di tale articolo dava la facoltà al contribuente di dimostrare che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente era costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta; inoltre, “l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione”.
La giurisprudenza di legittimità più recente e maggioritaria ha stabilito, al riguardo, che il previgente art. 38 non impone che la prova contraria sia costituita dalla dimostrazione per cui le disponibilità finanziarie sono state specificamente utilizzate per sostenere la spesa relativa all’incremento patrimoniale contestato, ma richiede, tuttavia, espressamente una dimostrazione documentale sintomatica del fatto che ciò sia accaduto. Quindi, non soltanto il contribuente deve provare l’entità delle disponibilità finanziarie (o meglio dei redditi esenti o soggetti a ritenuta a titolo definitivo) addotte quale giustificazione per la spesa contestata dal Fisco, ma deve anche dimostrarne il possesso per un periodo di tempo sufficiente.
Non basta, pertanto, che i redditi o le risorse economiche siano transitate nella disponibilità del contribuente, ma è necessario che siano rimasti in suo possesso, così da escludere che possano poi essere stati utilizzati per un successivo investimento. Né la prova documentale richiesta dalla norma in esame risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la durata del possesso dei redditi in esame; quindi non il loro semplice “transito” nella disponibilità del contribuente (cfr. Cass. nn. 22944/2015, 8995/2014, 17663/2014, 25104/2014, 14885/2015).
Non sempre, però, la giustificazione del maggior reddito accertato è desumibile da situazioni reddituali riguardanti il singolo contribuente, il quale è generalmente inserito in un contesto familiare che, quindi, può assumere rilievo ai fini in oggetto. L’Amministrazione finanziaria stessa, del resto, aveva già chiarito, con la circ. n. 49/2007 (§ 5), che gli elementi di capacità contributiva rilevanti ai fini dell’accertamento del contribuente possono trovare spiegazione nei redditi posseduti da altri familiari.
La Suprema Corte, a tal proposito, ha recentemente stabilito che la prova contraria ammessa dal sesto comma citato implica un riferimento alla complessiva posizione reddituale dell’intero nucleo familiare, per tale intendendosi esclusivamente la famiglia naturale, costituita dai coniugi conviventi e dai figli, soprattutto minori; la presunzione del concorso di tali soggetti alla produzione del reddito, che può fornire giustificazione all’accertamento sintetico, trovando fondamento nel vincolo che lega le predette persone, e non già nel mero fatto della convivenza, esclude infatti la possibilità di desumere da quest’ultima il possesso di redditi prodotti da un parente diverso o da un affine, in quanto tale estraneo al nucleo familiare (cfr. Cass. 5365/2014).
Con la citata sentenza della Cassazione n. 1332 depositata ieri – avente ad oggetto il caso di un contribuente accertato sulla base di incrementi patrimoniali incompatibili con il reddito dichiarato, che aveva addotto, a giustificazione di ciò, il suo “mantenimento” da parte della madre convivente – i giudici di legittimità hanno bocciato la decisione di merito che desumeva proprio da tale convivenza la presunzione di sostenimento da parte della madre convivente, di reddito capiente, delle spese contestate.
Per la Cassazione, infatti, è ben vero che sussiste quella presunzione di concorso reddituale dei familiari alle spese della famiglia, ma è altresì vero che l’effettivo transito delle disponibilità da un membro all’altro della famiglia deve essere dimostrato, perché la capienza del reddito di un familiare anche per le spese di un altro non implica necessariamente che ciò sia avvenuto, potendo tale reddito capiente del familiare essere utilizzato per altri soggetti o fini.
Nel caso di specie, quindi, mancava una prova idonea volta a dimostrare che il contribuente era rimasto (in tutto o in parte) sollevato dall’onere pecuniario delle spese sostenute in virtù del contributo dei redditi (esenti o già assoggettati a prelievo tributario) materni ed elargiti a suo favore. Tale prova, secondo i giudici della Suprema Corte, non può rinvenirsi nel semplice vincolo di convivenza, ma deve rispondere alle più rigorose specifiche forme richieste dalla norma per la dimostrazione del “transito endofamiliare del reddito”, le quali ultime sono evidentemente improntate ad una finalità antielusiva.
Del resto, l’art. 38, nella formulazione previgente, se non forniva alcuna indicazione in merito alla titolarità soggettiva dei redditi allegabili a giustificazione delle spese, pretendeva, invece, che ne fosse dimostrato con “idonea documentazione” il “possesso” ed “entità”.
Il contribuente, pertanto, avrebbe dovuto provare, con apposita documentazione, le liberalità ricevute (cfr. Cass. nn. 24597/2010, 20588/2005) ed il loro possesso per un periodo sufficiente a costituire la provvista per le spese contestate. Prova che, peraltro, secondo la Cassazione, non è “così complessa … almeno per masse”.
Il principio giurisprudenziale in oggetto dovrebbe assumere rilievo anche ai fini del nuovo redditometro, seppur con qualche attenuazione, atteso che la formulazione vigente dell’art. 38 non ripropone più la locuzione “l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione”, su cui si basa in gran parte la statuizione de qua.